Carissime, carissimi,
vi propongo ancora una riflessione per restare ‘collegati’ e cercare di non perdere quella dimensione comunitaria della fede che ci deve accompagnare anche in questo tempo di isolamento sociale.
Sono riflessioni e considerazioni che ho fatto in questi giorni stimolato da alcuni articoli letti su ‘Avvenire’ e un’altra rivista.
Spesso in questi giorni si sente invocare un ‘ritorno alla normalità’. Ce lo diciamo continuamente nei nostri colloqui telefonici, nelle brevi parole scambiate per strada – sempre mantenendo la distanza di sicurezza – o negli incontri via web.
Proprio su questo riflettono gli interventi che vi propongo.
Il primo, da ‘Avvenire’ di qualche settimana fa, iniziava dicendo: ‘non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema’. Continuava il giornalista – Paolo Pileri – ‘è questo davvero quello che speriamo per il domani? Tornare da dove siamo partiti? Ai virus culturali che avevamo? … Ci sarà da rimboccarsi le maniche per risollevare un paese che uscirà in ginocchio da questa crisi. Ma per andare verso quale direzione?’ Il giornalista poi, restando sul piano socio-economico, sottolinea tutto quello che la normalità di prima respingeva: gli accordi sul clima, gli investimenti in sanità pubblica, lo stop al consumo di suolo e al traffico, la tutela della biodiversità, gli investimenti in ricerca, cultura e manutenzione del paese, la buona agricoltura, la dignità del lavoro, l’economia circolare, la lotta alla corruzione… E concludeva: ‘ci dicono che è normale che la Borsa rimanga aperta e i parchi chiusi. Io non voglio ritornare a questa normalità’.
Un altro articolo che mi ha fatto riflettere, sempre su ‘Avvenire’ di domenica scorsa aveva come titolo: ‘Niente sarà come prima. Anzi, tutto sarà come prima’.
Nel ripercorrere le ‘crisi’ degli ultimi decenni l’articolista Daniele Mencarelli sottolinea che la frase ‘Niente sarà più come prima’ è stata il leitmotiv che ha accompagnato prima la guerra del Golfo, poi l’attacco alle Torri Gemelle, la crisi economica del 2008, l’esplosione del terrorismo islamico nel 2013…
Ma ogni volta l’inizio di un tempo nuovo invocato da tutti non è avvenuto. Ma perché accade questo?
Il pensiero del giornalista è: ‘Nel niente sarà come prima si omette per comodo o inconsapevolezza una postilla fondamentale: il nostro coinvolgimento. Quello che dovremo sempre dire, tutti, è: Niente sarà come prima, PER ME. Non una esortazione generica, ma una scelta di vita. Da questo momento in poi, le mie azioni, la mia disponibilità agli altri, i valori che dominano nella mia vita, non saranno quelli di prima. Io non sarò più quello di una volta. È questa la vera rivoluzione. Non chiedere agli altri, non demandare a nessuno quello che spetta a noi… Non è forse questo l’insegnamento di Cristo?’.
Insomma, solo una svolta personale può innescare cambiamenti.
Infine, allegato a questo scritto trovate il link per un articolo di Tomas Halik apparso sulla rivista Vita e Pensiero di qualche settimana fa: ‘Il segno delle chiese vuote’.
È un po’ lungo ma si legge d’un fiato. E poi occorrerà rileggerlo. E pensarlo. Oserei dire: meditarlo.
Ci riguarda più direttamente come chiesa, come comunità parrocchiale che soffre questa situazione con le sue limitazioni, ma che non può non interrogarsi sul dopo.
Vi invito a questa lettura. Molti di noi, in questi giorni hanno più tempo per farlo.
Vi invito anche a farmi sapere, se volete, cosa ne pensate, quali riflessioni vi ha suscitato… o anche quali timori, perplessità… quello che vorrete.
Potete scrivermi alla mail: donfabiobarbieri@gmail.com O su WhatsApp: 3428481355.
Grazie.
Scusate la lunghezza.
Buone giornate!
Don Fabio.